lunedì 11 ottobre 2010

Proiezioni ortogonali

Gli alunni di terza hanno sperimentato il metodo delle proiezioni ortogonali applicando il retino.

Saper eseguire una corretta rappresentazione, è la base, per poter comunicare le informazioni sulla composizione geometrica di un progetto.
Prof. Barbara Cavaletti

domenica 10 ottobre 2010

Inglese a scuola

Un genitore ci ha inviato un interessante articolo comparso sul Corriere che proponiamo perchè come scrive lui stesso "..il Collegio avrà anche i suoi difetti, ma così come si è pronti ad evidenziarli, se qualche volta ci fosse un po' più di attenzione ANCHE verso i pregi.........sentire i nostri figli, durante una vacanza negli Stati Uniti, dialogare tranquillamente nei negozi, nei ristoranti ecc. fa riflettere"
Buona lettura

Niente inglese, siamo in classe

La lingua straniera alle elementari è stato un flop



The sky is... Coraggio, il colore della tua squadra: b.... Il bambino arranca. Tentiamo con i numeri: dopo l’8, il nulla. Eppure il programma d’inglese dice che a fine quinta si dovrebbero conoscere 300 parole. Qualcosa non va. Vabbè, c’è la scusante Italia: politici locali che organizzano corsi di dialetto a scuola (paga la provincia di Milano) e leader nazionali che parlano “greco antico” ma si fanno scortare dall’interprete. Per Eurobarometro (dati 2008), 6 italiani su 10 non sanno sostenere conversazioni one-to-one. Infine c’è la tradizione del doppiaggio, che impedisce l’ascolto dei film in originale.
Però qualcosina in più sarebbe lecito aspettarsela. Anche perché i corsi di lingua straniera alle elementari hanno una lunga storia. «Sono nati negli anni Settanta. Nell’85 sono stati inseriti ufficialmente nei programmi » spiega Gianfranco Porcelli, presidente dell’Anils (associazione di docenti di lingue straniere, anils. it). «Si partiva dalla terza con lezioni di inglese o di francese, tedesco, spagnolo » Così fino alla riforma Moratti, nel 2003, che ha portato due novità: «L’esclusiva dell’inglese e l’inizio in prima elementare». È stato il momento d’oro delle tre “I”: impresa, internet, inglese, che ci avrebbero messo al passo con l’Europa. Glissiamo sulle prime due, e cerchiamo di capire perché con la terza non ci siamo.
Intanto, la formazione dei docenti: si punta al risparmio. I programmi dell’85 identificavano due tipologie: gli “specialisti”, che insegnavano solo la lingua straniera, e gli “specializzati”, che insegnavano la lingua straniera insieme con le altre discipline. Nel 2007 è iniziato il taglio degli 11.200 “specialisti”, poi azzerati con la Finanziaria del 2009: alcuni si sono riciclati come “generalisti”, altri rimessi in pista nel “sostegno”, altri infine hanno perso il posto. Agli aspiranti “specializzati” il Ministero ha offerto un corso di 300 ore per arrivare al livello B1, quello degli studenti al biennio delle superiori. Poco, ma ora è anche peggio. Finiti i soldi, a maggio è partito un minicorso di 50 ore, peraltro neanche concluso. Pazienza. L’input è arrangiarsi: che ci vorrà a spiegare “the pen is on the table”? Errore: «È più impegnativo insegnare inglese ai bambini che agli adolescenti» contesta Silvia Minardi, presidente di Lend, un’altra associazione di docenti del settore (lend.it). «Serve una competenza alta per introdurre una lingua attraverso attività pratiche animate come giochi, disegni, canzoni.
L’alternativa è insegnare a memoria i numeri. Tempo perso. In una classe ho visto un lavoro intitolato: I love basket. Peccato che basket sia cestino, mentre lo sport è basketball» continua. Jacqueline Madden, autrice di Pixie, corso d’inglese leader alle elementari (De Agostini), sottolinea la cronica mancanza di mezzi: «La lezione frontale non basta, soprattutto con le classi troppo affollate di quest’anno. Sarebbe utile la consulenza di lettori madrelingua, ma costa e quindi è prevista solo in alcune superiori. La multimedialità? Non ci sono né computer, né lavagne interattive. I programmi puntano “sull’approccio ludico” e “l’aspetto orale della lingua”, impossibili da realizzare se la formazione è insufficiente e il docente resta in cattedra». Aggiunge John Bleasdale che l’estate scorsa, a Feltre, ha organizzato per conto dell’università Ca’ Foscari di Venezia una full immersion per maestri: «Quando ho consigliato un elenco di siti utili mi hanno risposto: belli, ma le scuole non sono in rete. E sì che erano motivati e in qualche caso anche molto preparati: su 45 iscritti, avrò avuto un 10 per cento di eccellenti».
Alla fine, come spesso in Italia, i pochi bravi volenterosi fanno la differenza, in una realtà fatta soprattutto di laboratori chiusi e di vocaboli imparati a memoria. Per questo certe promesse fanno sorridere. I Clil per esempio, le discipline non linguistiche che verranno insegnate in inglese all’ultimo anno delle superiori. Chi scrive ha visto alcune classi Clil al lavoro (Io donna n. 9), con risultati strepitosi. Ma sono, appunto, progetti pilota. «Secondo la riforma, si inizierà tra quattro anni in tutte le scuole» conclude Porcelli. «Ma quanti professori sanno insegnare chimica o matematica in inglese? Se non partiamo al più presto con la formazione sarà un flop». E l’ennesima scommessa persa.
Cristina Lacava

Bentornato Villovagando

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Un team simpatico guidato dalle prof. Maria Sala, Barbara Cavaletti e Benedetta Trabattoni
Ci troviamo il venerdì alle 08.10 nell'aula di informatica veicolare.
Se vuoi diventare un giornalista, è il momento di metterti alla prova.

martedì 5 ottobre 2010

Rotazione di figure geometriche

Attraverso la semplice rotazione di figure geometriche si possono ottenere effetti decorative molto interessanti.
Prof. Barbara Cavaletti



                                                                                                 Alunni di 2^A

venerdì 1 ottobre 2010

DELLE TRAPPOLE INTERNETTIANE

Riporto con piacere un interessante riflessione di un genitore "tecnoattento" in merito all'uso delle tecnologie.
Buona lettura!

DELLE TRAPPOLE INTERNETTIANE
Il mio lavoro è a metà tra il mondo dei media e quello di internet, e posso dire di conoscere molto a fondo entrambi gli ambienti. Ne conosco sia gli aspetti culturali che quelli tecnologici ma per la natura del mio lavoro anche quelli diciamo così, “sociali”, ovvero di come le persone utilizzino i contenuti oggi fruibili attraverso radio televisione e web per le loro attività quotidiane, e di come questi contribuiscano a cambiare i comportamenti di ciascuno in modo più o meno radicale.
Spesso attingo molte delle informazioni proprio chiacchierando con le persone, chiedendo loro come accedano al web, a quali contenuti siano più interessati, se conoscano o meno questo o quel sito, quali dispositivi elettronici utilizzino, eccetera.
Devo dire che negli ultimi anni uno dei miei “campioni di audience” preferiti è mia figlia, allieva quest’anno di 2a “media”, cresciuta anche grazie al Collegio in un ambiente dove l’accesso alla tecnologia è particolarmente facilitato, e osservo come la sua generazione stia metabolizzando con la più assoluta naturalezza mezzi di informazione e modalità di scambio di contenuti che non erano nemmeno esistenti appena 5 o 6 anni fa. Con lei ma anche con le sue amiche quando vengono a casa nostra a cena oppure in auto in qualche trasferta più lunga  se riesco sposto la conversazione e mi faccio raccontare che musica ascoltino, quali contenuti e siti vadano a visitare, come facciano a trasformare un artista semisconosciuto in un record di ascolti senza passare per le radio, eccetera. Molto istruttivo, e spesso sorprendente, giuro.
Sinceramente però la mia osservazione ha anche una funzione di “vigilanza preventiva non invasiva”, visto che come è noto l’accesso al mondo di internet non è immune da pericoli anche gravi, sia purtroppo per la possibilità reale di avere contatti con persone poco raccomandabili che per quella di poter accedere a contenuti decisamente inadatti a un ragazzo di questa età. O anche di un adulto. Chiedo, cerco di capire, mi informo, lancio spunti di discussione, eccetera.
Così, chiacchierando sul tema di come si procurassero la musica da caricare nei loro onnipresenti dispositivi portatili ho scoperto che molti ragazzi utilizzano sui propri computer software come LimeWire o Emule, normalmente senza alcun “parental control”. Addirittura ad un’amica di mia figlia era precluso l’accesso a Facebook poichè veniva considerato dalla famiglia un ambiente potenzialmente pericoloso per contatti indesiderati (cosa tutto sommato peraltro invece relativamente poco probabile), ma le era tranquillamente consentito l’utilizzo di LimeWire per scaricare la musica.
Alla quarta o quinta volta in cui ho riscontrato questo stato di cose mi è sembrato utile pubblicare un segnale di moderato allarme su Villovagando, per mettere in evidenza quanto sconsigliabile sia lasciare ai nostri ragazzi l’accesso a questo tipo di componenti software.
Limewire, come Emule, Torrent e derivati, DC++, Gnutella sono solo alcuni delle decine di software che appartengono alla categoria coseddetta “peer2peer”, il cui più famoso rappresentante è l’ormai defunto Napster. Sono applicativi che vengono utilizzati da milioni di utenti in tutto il mondo per lo scambio (sottolineo: illegale ovunque ci sia copyright) di contenuti quali musica, film, immagini, libri elettronici giochi ed altri software.
Se il download di una canzone di Lady Gaga attraverso questi mezzi non ha altri pericoli che eventuali sanzioni per violazioni delle leggi sul diritto d’autore, unitamente alla nefasta ripetizione del nome Alejandro per un numero di volte che tende a infinito, devo però evidenziare energicamente che attraverso questi sistemi, con la massima facilità e a volte anche involontariamente è possibile scaricare contenuti di natura pornografica, violenta, razzista, estrema in ogni forma, unitamente all’elevata probabilità di compromettere il funzionamento dei propri computer con virus in modo a volte irreparabile per i propri dati.
A titolo rafforzativo specifico che mia figlia è dotata di un suo computer portatile e io e mia moglie ne consentiamo l’utilizzo senza filtri o limitazioni (purchè non a scapito degli impegni scolastici e la quantità di tempo non raggiunga livelli poco ragionevoli). Ha un suo profilo su Facebook, usa messaggistica istantanea come Messenger, non ho installato blocchi all’accesso ai siti. Ebbene: una delle pochissime cose che ho sempre evitato accuratamente di renderle accessibile, con la spiegazione chiara del motivo, è proprio l’uso dei software come quelli suelencati. Con questi mezzi è troppo elevata la facilità di accesso ripeto anche involontario a contenuti offensivi, sgradevoli, detestabili, violenti e non ci sono parole abbastanza nel vocabolario per definirne quanto ne sia inopportuno il contatto, anche per gli adulti.
Se i vostri/nostri figli desiderano, come è naturale e ormai irreversibile, contenuti digitali per le loro diavolerie elettroniche, soprattutto musica, non posso che dare 3 alternative:
a)      COMPRATELA: la musica ed i giochi via web possono essere acquistati su iTunes, sul sito di Radio DeeJay, su Amazon, come file digitale da scaricare in pochi minuti o come supporto fisico; costa poco, si ottiene in un attimo e non si incorrerà mai in problemi per copyright e diritti di autore o di funzionamento.
b)      Se siete capaci e ve ne assumete la responsabilità (anche educativa) SCARICATELA VOI; usate questi software, ma non lasciateli nelle mani dei vostri ragazzi. Fatevi fare una lista di canzoni desiderate, scaricatela, VERIFICATE IL CONTENUTO, e trasferitela con una chiavetta, sperando che nella lista non ci sia il tenebroso Alejandro. Cmq se sapete come si fa ad usare queste cose, sapete anche bene di cosa sto parlando, e probabilmente per chi risponde “b” tutto questo intervento è superfluo
c)       Se proprio volete fornire loro degli strumenti da utilizzare in autonomia esistono alternative possibili, comunque illegali ma che non hanno rischi di natura legata a contenuti inappropriati; questo blog ovviamente non è la sede per tenere un corso di hacker e pirati multimediali, quindi mi limiterò a dire che esistono utility di utilizzo semplicissimo per trasformare i video di YouTube in musica da caricare su iPod e compagnia. Diteglielo. Loro poi sapranno come fare. Garantito.

Spero che questo intervento, invece di creare allarme e panico ingiustificato, offra uno spunto di riflessione utile per genitori magari un pò meno avvezzi al mondo della tecnologia, e aiuti a tappare una falla di pericolo prima che emergano danni più gravi.

Naturalmente sono a disposizione per qualunque chiarimento od approfondimento a chiunque ne faccia richiesta: il mio indirizzo di posta è robertoa@videora.net.
Un papà tecnoattento.