lunedì 27 ottobre 2014

giovedì 23 ottobre 2014

Momenti di crescita



Tema: “Quali sono i principali cambiamenti che stai vivendo? Quale dimensione ti sembra di avere in questo momento, ti senti piccolo o grande?”

Caro diario,
Oggi mi è successa una cosa molto particolare.
Ero con mia mamma e mia sorella in una specie di parchetto, quando una bambina mi si è avvicinata e mi ha chiesto: ”Come ti chiami?”
Io le ho risposto: ”.........., e tu?”
Lei mi ha detto: “Ingrit”
Poi è rimasta ferma a guardarmi per un po’, come se riflettesse su qualcosa.
Era una bambina piuttosto bassa, minuta, e evidentemente di origine straniera, perché aveva uno strano accento, la carnagione scura e i capelli neri e crespi.
Continuava ad osservarmi e sembrava molto confusa.
Ad un certo punto mi ha chiesto: ”Ma sei una mamma o una bambina grande?”
Io non avevo idea di cosa risponderle, così ho detto l’unica cosa di cui ero sicura: “Non sono una mamma.”
Lei però non era soddisfatta e ha insistito: “Allora sei una bambina…come me?”
Io l’ho guardata (ma perché mi faceva una domanda simile?) e ho balbettato: “Ehm, no…non proprio.”
Lei è rimasta in silenzio, guardandomi seria, poi senza dire niente è andata via.
Oggi pomeriggio ho ripensato a quella bambina, non sono riuscita a rispondere alla sua domanda, (anche se non ho ancora capito perché fosse venuta a farla a me), ma non penso che ci sarei riuscita anche se fosse rimasta lì ad aspettare.
Non saprei rispondere, perché non so se sono piccola o grande, penso di essere un po’ tutte e due le cose.
Certe volte, quando ripenso a come ero prima, mi sembra di essere cresciuta tanto, tantissimo.
Altre volte invece mi sembra di avere bisogno di aiuto per tutto quello che devo fare, e di essere ancora una bambina.
Per quanto riguarda quello che mi dicono gli altri…non posso basarmi su di loro perché tutti (tutti!) mi dicono cose diverse.
I miei nonni dicono che ormai sono una donna (questo è esagerato), mentre i miei cugini più grandi mi trattano come una bambina di quattro anni (anche questo!).
I miei genitori vanno a momenti, come tanti altri.
Alcuni amici dei miei genitori dicono che sono “un’adolescente ribelle”, avendomi visto una sola volta, magari senza neanche avermi mai parlato.
Non è vero, ma loro sono convinti che tutti i ragazzi dai tredici ai diciotto anni debbano per forza essere scontrosi  ribelli, ed è una cosa che non sopporto, specie quando pronunciano “ribelle” con due “b” perché forse si credono spiritosi.
A presto,
La tua grande amica.

Un'alunna di 3^

pattern




Lezione al parco

Oggi alcuni alunni di 1^ hanno fatto lezione nella magia del parco del Collegio, qui trovate le foto, buona visione
https://picasaweb.google.com/101310343443202238351/EmozioniAlParco?authuser=0&feat=directlink

mercoledì 22 ottobre 2014

Testo argomentativo



Un’alunna di terza ha sviluppato  una riflessione sugli zoo: questi possono essere considerati “lager”  o un’occasione di conoscenza degli animali?
Prof. Daniela Piazza
La parola “zoo” deriva dal greco, e significa “animale”. Gli zoo si sono diffusi nel corso del diciannovesimo e ventesimo secolo; il primo ad avere uno zoo, fu un imperatore cinese (circa 300 anni fa) e lo chiamò “Giardino dell’intelligenza”. Il parco, che si estendeva su una superficie di 600 ettari, dava la possibilità di osservare animali vivi. A quel tempo un parco di questo tipo era considerato una rarità, mentre oggi, gli zoo sono una delle attrazioni più diffuse, e sono alla portata di tutti, in tutto il mondo.

Purtroppo, però, ancora oggi, alcuni zoo non si trovano in ottime condizioni, e per gli animalisti queste strutture sono dei carceri dove gli animali vengono usati e ridotti in schiavitù: “Lo zoo, come tutte le strutture all’interno delle quali vengono imprigionati esseri viventi, per il diletto umano, non ha senso di esistere ora, come quando è stato concepito” dice Massimo Camparotto ( Presidente OIPA Italia Onlus) e aggiunge “ l’evoluzione della società civile deve andare in senso opposto rispetto al messaggio degli zoo, ovvero che una specie ha il diritto di ridurne in schiavitù altre”.

È un’ opinione interessante la sua, perché negli zoo, nonostante siano un possibile riparo per gli animali, questi vivono rinchiusi in gabbie, senza niente da fare, e sotto il controllo di una persona. Essi verrebbero continuamente osservati da una “specie” che non conoscono, e avrebbero anche una limitazione di libertà.

Gli zoo, inoltre, non sono l’unico modo per poter osservare, conoscere o studiare un animale. Esistono i documentari televisivi, oppure i viaggi nei paesi esotici, e penso che si riuscirebbe a studiare meglio gli animali.

Renato Massa (professore di Biologia animale e di Conservazione della natura presso l'Università degli Studi di Milano Bicocca e naturalista) dichiara in un’ intervista che  “ ogni animale è un ergastolano esposto agli sguardi del pubblico e nessun genitore dovrebbe portare il proprio figlio in uno zoo, perché non è educativo conoscere gli animali dietro le sbarre, e di certo, non insegna il rispetto per la vita”.

Nessuno mette in dubbio che lo zoo abbia una funzione importante nel combattere il rischio di estinzione, ma di certo non si può ridare la bellezza di un ambiente abitato dalla sua fauna. E penso che la salvaguardia di una specie in via di estinzione da parte dello zoo, sia un patetico tentativo per rimediare alla distruzione o inquinamento del nostro pianeta da parte dell’uomo.

Molte volte infatti, gli animali vengono sforzati o stressati. Ogni animale ha il diritto di vivere in libertà e riprodursi nel suo ambiente naturale.

Che la gabbia sia in buone condizioni o no, o che sia grande, la libertà è irraggiungibile per gli animali. All’interno delle gabbie, gli animali possono ammalarsi o impazzire soprattutto per il troppo stress.

Alcune specie non possono nemmeno stare isolate, ma non avendo contato questo dettaglio, spesso gli animali finiscono in depressione, come nel caso di uno scimpanzé dello zoo di Roma, che per 40 anni ha continuato a urlare contro chiunque gli passasse davanti.

Anche nel parco di Rotterdam, nel maggio 2007, si è verificato un caso di violenza dovuto allo stress, il responsabile è Bokito (un gorilla di 11 anni) che è scappato dalla gabbia e ha ferito alcuni visitatori. Sono molti anche i casi di morte all’interno dello zoo, dovuti a malattie psichiche degli animali.

In alcuni zoo, gli animali vengono costretti a fare degli spettacoli. Questo non rispetta la loro dignità, e li porta a uno stress continuo, come ad esempio, nel caso di Tillikum (orca) che nel 2009 durante uno spettacolo, ha ucciso l’addestratore.

“Siamo stati allo zoo di Fasano”- spiega una giovane mamma – “gli animali non sono curati bene, ma forse è normale visto che sono animali selvaggi, però è stato molto strano vedere leoni e tigri addormentati, come se fossero stati sedati o fossero annoiati...”

Una ragazza di diciannove anni dice: “Ieri sono andata allo zoo, ho visto gli animali, ma mi davano una sensazione di tristezza, sembravano privi della scintilla, quasi disinnescati, abulici …”

Penso che gli zoo non trattino molto bene gli animali, e se anche ce ne fosse uno migliore degli altri, penso che non sarebbe mai perfetto, perché un posto dove gli animali vengono rinchiusi non può rispettare le abitudini degli animali proprio perché, le loro abitudini non possono prescindere dalla prigionia.

Secondo Giorgio Celli (politico, entomologo, scrittore, etologo, docente universitario e conduttore televisivo) gli zoo assomigliano molto ad ospedali psichiatrici, o a campi di concentramento nazisti, dove gli animali sono confinati in spazi angusti.

Per finire, credo che gli zoo sfruttino solo gli animali, li maltrattino e trattino come “spazzatura”.

Questa è la filosofia del dominatore, “l’animale deve assecondare l’uomo o morire” e lo zoo, secondo me, ne è l’espressione.

                                                                                                                

giovedì 16 ottobre 2014

Esperimenti in classe

Piccoli scienziati crescono! Esperimenti con stelle ed acqua dalla prof. Paola Magni








mercoledì 15 ottobre 2014

Uno spot interessante

In questo spot pubblicitario c'è una persona che parecchi alunni della scuola secondaria di I grado conoscono e un alunno. Siete in grado di riconoscerli?


Positivo e negativo

Ecco l'elaborato di un'alunna di 2^
Prof. Barbara Cavaletti





sabato 11 ottobre 2014

venerdì 10 ottobre 2014

Arte

Altri lavori di arte inviati dalla Prof. Fincken





martedì 7 ottobre 2014

Il giardino Villoresi attraverso il "Frottage"
Laura Morandi


lunedì 6 ottobre 2014

Bergamoscienza

Vorrei segnalarvi che in questo fine settimana ha avuto inizio una manifestazione scientifica molto interessante, "BERGAMOSCIENZA". 


 Come potete intuire dal nome, l'evento si svolge a Bergamo.
Sono previsti laborat...ori, mostre e conferenze per grandi e piccini, potrete sperimentare personalmente invenzioni scientifiche del passato e tecnologicamente avanzate, condividendo con genitori e amici la curiosità e il divertimento della scoperta!!

Prof. Paola Magni
​Di seguito il link con le informazioni per partecipare all'evento
http://www.bergamoscienza.it/

Tecnologia

Proiezione ortogonale di un cubo e un parallelepipedo.
Prof. Barbara Cavaletti



Alunne di 3^A

domenica 5 ottobre 2014

Scrivere per comunicare

Durante l’estate ho lasciato che i miei studenti usassero la scrittura per comunicare liberamente un’emozione o un pensiero, attraverso la forma che ritenevano più congeniale (diario, favola, testo giallo…): volevo che usassero la scrittura per fermarsi e dare parole  a ciò che sono e che vivono, o anche ad una suggestione. Il testo che segue nasce dalla forza e dalla crudezza di eventi reali che non possono passare inosservati e si sviluppata in un racconto verosimile.
E’ costruito sfruttando la possibilità che offre la scrittura di osservare con un punto di vista diverso dal proprio abituale; questo non è solo un esercizio di stile, ma è anche un modo per fermarsi e riflettere sulla realtà, o meglio “sulle realtà”. Sviluppa empatia e abitua a indagare il mondo attraverso occhi differenti. Che cosa ne pensate?"
Prof. Maria Sala



LOTTARE PER VIVERE


La Guerra, un orribile combattimento, un massacro di persone innocenti che combattono per salvare la propria patria. Sono nata a Mali, uno stato dell’africa Orientale. Fin da piccola i miei genitori mi avevano insegnato a non fidarmi di nessuno e che il mondo poteva essere crudele. Non realizzai mai questo concetto fin quando compii sedici anni. È in quell’anno in cui tutto incominciò. Ogni mattina mi svegliavo con l’assordante suono delle mitragliatrici, mi affacciavo dell’unica minuscola finestra alta e larga dieci centimetri, e tutto ciò che vedevo, erano uomini in divisa che si muovevano a passo felino intorno al villaggio.
Da piccola chiesi a mia madre chi fossero quegli uomini e che cosa facessero lì fuori, mia madre rispose che erano degli angeli mandati da dio per salvare il nostro popolo. Di quei angeli faceva parte anche mio padre.


Ci fu un giorno in cui le scorte di cibo finirono, quel giorno però era diverso, mi affacciai dal mio finestrino e non vidi né sentii il rumore della guerra, così credetti che fosse tutto finito, ma mi sbagliavo. Mio padre, per non farci morire di fame, decise di approfittare della situazione per uscire e andare a chiedere del cibo. Mia madre era contraria alla decisione di papà e così si oppose in tutti i modi, ma papà disse che non voleva vederci morire lentamente. Così convinto di fare la cosa giusta prese un fucile, ma quell’arma non bastava per difendersi da ciò che gli sarebbe successo, e uscì di casa. Io corsi verso il mio finestrino e guardai mio padre camminare verso la strada. Stava per girare l’angolo. Mi distrassi per un secondo e mi guardai le spalle alla ricerca di mia madre quando sentii una scossa al terreno così forte che caddi dalla sedia. Ero terrorizzata all’idea di che cosa avesse causato quella scossa, così mi rialzai, ma feci un balzo all’indietro quando ricordai che papà era lì fuori. Così guardai attraverso il minuscolo finestrino e vidi papà disteso per terra sanguinante. Urlai più forte che potevo mia madre corse da me e io dissi solamente: ”Papà!” così mia madre dopo qualche secondo capì e corse fuori dal bunker in preda al panico. Vidi che si fermò a pochi metri da papà, che era circondato da militari, fin quando un militare si staccò dal gruppo e avanzò verso mamma e le disse qualcosa che la fece disperare al tal punto di farla  inginocchiare e scoppiare a piangere. Io ero rimasta davanti al mio finestrino a guardare quell’orribile scena. Dopo alcuni momenti di pensiero realizzai che papà era morto.
Mi sentii morire dentro. Era come se fossi stata trafitta da milioni di spade, il dolore era indescrivibile. Non sentivo più il battito del mio cuore, volevo tornare indietro nel tempo e fermare papà, ma ormai era troppo tardi. Ero in un momento di confusione e di immenso dolore, a pochi metri da me c’era il corpo senza fiato di papà. Era come una scena surreale, ed era quello che speravo, perché pochi minuti fa papà era a parlare con la mamma e a scherzare con me, mentre ora era in mezzo ad un campo di battaglia. Così gli uomini in divisa ripresero a sparare e la guerra che sembrava finita ricominciò.


Passarono due anni dalla morte di papà, non era cambiato nulla a parte una cosa: avevo sentito parlare di imbarcazioni che partendo dal porto di Tripoli in Libia portavano la gente in salvo in Italia.
Mia madre quell’anno decise di prenderlo. Ricordo che tutti nel villaggio parlavano bene dell’Italia dicevano che era un luogo in cui regnava la pace,  vi era tanta vegetazione... Insomma un luogo perfetto, ed era proprio in quei luoghi in cui ho sempre sognato di vivere. Il giorno seguente mia mamma non fece altro che parlare di quel viaggio, mi disse che non sarebbe stata una passeggiata. Inizialmente dovevamo andare fino al porto di Goa attraverso i tunnel sotterranei, dopo avremmo preso un aereo che ci avrebbe scortato fino al confine della Libia, e una volta arrivati avremmo  preso un treno che ci avrebbe portato a Tripoli, la capitale.


Di primo impatto sembrò un viaggio lungo e faticoso, ma poi la voglia di vivere senza preoccupazioni prese il sopravvento. Mancava una sola settimana alla partenza, e quella che era la nostra “casa” si svuotò. In quel posto avevo trascorso la peggior parte della mia vita, ma eravamo pronti a ricominciare. Tutti i giorni di quella straziante settimana guardavo e riguardavo la mia stanza per assicurarmi di non aver lasciato nulla di importante, fin quando il giorno arrivò. Ci svegliammo la mattina presto, due uomini in divisa ci aiutarono a portare i bagagli nel viaggio. Dovete sapere che in ogni bunker del villaggio vi era una porta che conduceva nei tunnel sotterranei. Dopo aver camminato per due ore arrivammo in un piccolo aeroporto a Goa, da lì i due soldati ci dissero verso dove dirigerci e se ne andarono. Dopo aver trovato l’aereo esatto partimmo.


Dopo poche ore di viaggio mi addormentai e quando mi svegliai vidi mia madre indicarmi il finestrino, così mi voltai e vidi un nuovo paesaggio, vidi molti più alberi, moltissime case, le case vere e proprie, eravamo arrivati. Appena scesi dall’aereo prendemmo un autobus che ci condusse al treno che portava a Tripoli. Così salimmo sul nuovo mezzo, ci mettemmo comode e partimmo. Passate altre ore di viaggio all’inizio del vagone si intravide il controllore, avanzò verso di noi e ci chiese il biglietto e i documenti. Con sguardo quasi comprensivo li restituì e andò avanti. Il viaggio sembrava lunghissimo, ma alla fine arrivammo. Era una piccola cittadina, molto affollata e vi era anche un porto con delle enormi navi.
Mamma sapeva che l’appuntamento era in una piccola rientranza vicino al porto, molto nascosta. Raggiungemmo con molta speranza quella maledetta spiaggia. Aspettammo lì per tutto il giorno raccontandoci che cosa avremmo potuto fare o essere e ci accorgemmo solamente allora: che vi erano tantissime persone ad aspettare quel “peschereccio” e incominciai a dubitare che ci fosse stato posto per tutti. Purtroppo ebbi a breve la risposta: per me e mia madre c’era solo un posto. Mia madre passò sulla difensive dicendo che aveva pagato per entrambe. Mentre vedevo mia madre lottare per la nostra sopravvivenza, ebbi il timore di perdere anche lei, ma non potevo permetterlo così incominciai a discutere con il capitano e a essere forte.


Erano ormai passati due minuti, e non c’era verso di fare cambiare idea al capitano,  così ci arrendemmo al fatto che non avremmo vissuto la nostra vita insieme. Il capitano si allontanò e salì sulla barca, ci disse che fra dieci minuti saremmo partiti e avanzò, io e mia madre ci guardammo per alcuni minuti, riflettendo. Il silenzio fu rotto da mia madre che mi disse: “Vai, parti”. Io la guardai dritta negli occhi e mi opposi, non volevo abbandonarla qui. Non riuscivo più ad essere forte, una lacrima scese, seguita da milioni di lacrime che segnavano il mio dolore. Guardavo mia madre, cercava di essere forte per me, cercava di non piangere, non voleva dimostrare il suo dolore e mi chiedevo come facesse.
Ci guardammo dritte negli occhi, e la abbracciai più forte che potevo, mia mamma mi sussurrò nell’orecchio con voce tremolante: “Amore, io ho già vissuto la mia vita, che grazie a te e tuo padre è stata stupenda, ma tu tesoro mio hai ancora una lunga vita davanti a te e non posso permettermi di fartela rovinare. Ricorda tesoro che la mamma è dentro il tuo cuore e puoi stare tranquilla che non ti lascerà mai.”


Dedica: Questo racconto è tratto dalla realtà. Ho dedicato questo racconto alle persone che hanno lottato per avere una vita nuova e che magari hanno perso la propria, alle persone che hanno perso famigliari o che hanno avuto tanta speranza per ricominciare.
Un'alunna di 3^ C



Mezzoldo, ottobre 2014, 1^ medie

Qui trovate tutte le foto dell'uscita di Mezzoldo, buona visione


https://picasaweb.google.com/101310343443202238351/Mezzoldo20141Medie02?authkey=Gv1sRgCLPQ48Km9-idAg#slideshow/6066739119127348226

venerdì 3 ottobre 2014

Dalla Prof. Barbara Cavaletti.
Motivo decorativo in un quadrato, tecnica: collage. 2^ sec. di I grado